Come Proust può cambiarvi la vita

proust_de bottondi Alain De Botton

Editore Guanda – 2003

Il nome di Proust suscita in voi un certo timore reverenziale? Non è il caso di sentirsi troppo intimiditi di fronte a lui, ci suggerisce Alain de Botton in questo libro. Vale la pena semmai di trarre profitto dalla sofferta esperienza del grande scrittore francese, perché nessuno meglio di chi è stato infelice può darci lezioni di quotidiana felicità: come avere un sacco di amici, come ridar vita a una liaison sentimentale che langue, quali sono i vantaggi e gli svantaggi della lettura…Con la verve del miglior umorismo inglese, e insieme una profonda sensibilità umana, Alain de Botton offre al lettore una guida di vita ispirata a uno scrittore che diventa un discreto, generoso, confortante “compagno dell’anima”.

Il saggio di Alain De Botton è stato una piacevole scoperta. Ho sempre immaginato Proust come uno scrittore altezzoso, volutamente prolisso e sicuro di sé, basandomi esclusivamente sulle critiche e le recensioni della sua opera Alla Ricerca del Tempo Perduto che, confesso, non ho ancora letto per intero. Il ritratto di Proust che esce da questo libro invece è quello di Marcel. Proprio così, un semplice nome perché è questo il modo colloquiale e disinvolto con cui ne parla l’autore.

Marcel si sente inferiore al suo prossimo (<<Se solo avessi più stima di me! Ma ahimè, questo è impossibile>>), crede di essere un buon amico perché sa ascoltare ma confessa di non credere nell’amicizia perché non ha mai un ritorno del suo affetto e non pensa sia possibile essere davvero se stessi fino in fondo con gli amici, “avrebbe potuto fare ugualmente amicizia con un divano”, è comunque molto generoso con tutti. Nonostante i suoi disturbi e un fratello medico, non crede nella medicina e pensa che niente e nessuno possa guarirlo. Ma non si scompone per questo, anzi, matura la convinzione che <<solo la malattia ci fa notare e capire e ci permette di scomporre i meccanismi che, altrimenti, non conosceremmo. (…) La felicità fa bene al corpo, ma è il dolore che sviluppa la forza della mente. >>

Marcel non si accontenta di un aggettivo per esprimere il suo giudizio. Affermare che qualcosa è “bello” per lui non è sufficiente, è una limitazione delle proprie sensazioni, del proprio pensiero. Ecco perché la Recherche è così prolissa, perché si sforza di descrivere ogni cosa, sentimento, atteggiamento, personaggi in ogni più piccola sfumatura, come una gigantesca madeleine* che al solo assaggio fa riaffiorare nella mente e nel cuore sensazioni sepolte. La sua non è prolissità ma amore per la parola in quanto espressione profonda del proprio essere. Per questo preferiva scrivere piuttosto che conversare. La parola scritta gli dava la possibilità di trovare con calma le parole giuste invece di usare le più banali.

Il libro è suddiviso in nove capitoli che raccontano i diversi punti di vista di Proust su vari argomenti della vita e dell’arte, un incoraggiamento a trovare la propria strada in tutti i campi. Proust odiava i luoghi comuni proprio perché uniformano il modo di esprimersi invece di incentivare uno stile personale. “Nessuno deve copiare nessuno….”

Una menzione particolare alla parte dedicata ai libri, quella che in un certo senso lo riguarda più da vicino. A riprova della sua modestia, era convinto che fosse sbagliato inneggiare agli scrittori come maestri di vita assoluti sperando che siano loro a dire al lettore come vivere e risolvere i problemi. In realtà i libri sono solo uno spunto per ampliare la propria coscienza e conoscenza. Dovrebbero essere un punto di partenza per la propria crescita personale, solo così lo scrittore saprà di non aver fallito.

E Marcel di sicuro non ha fallito, suggerendo a ciascuno la propria Ricerca, la cui lettura mi accingo a cominciare.

*

*Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva ? Che senso aveva ? Dove fermarla ? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. E’ stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione ( e proprio ora ), per uno schiarimento decisivo. 

Marcel Proust – Dalla parte di Swann

Pubblicato su Naturalia – 14 ottobre 2015

 

 

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