Adolescenti, un cervello in costruzione

“Sapevamo che è un’età irrequieta. Ora con queste ricerche ne abbiamo le prove strutturali.” Così Alberto Oliverio, professore ordinario di Psicobiologia all’Università di Roma “La Sapienza“, ha commentato la nuova teoria delle neuroscienze.
Quando si parla di età irrequieta il primo pensiero corre subito all’adolescenza: i ragazzi passano da stati di euforia a momenti di depressione apparentemente ingiustificati. O meglio, le uniche giustificazioni trovate dagli adulti spesso impotenti davanti al turbinio di emozioni sono sempre state: rivoluzione ormonale, cattive compagnie, instabilità emotiva. Adesso sappiamo che non è solo quello.
C’è anche un cervello che, contrariamente a quanto sostenuto in passato, non termina il suo sviluppo entro i primi dieci anni di vita, ma prosegue almeno fino ai venti e proprio nella fase adolescenziale subisce una serie di trasformazioni simili al periodo che caratterizza il cervello di un bambino di due anni. La scoperta, che in un certo senso contribuisce a fare chiarezza nelle teorie dell’educazione, è frutto degli studi della disciplina in grado di leggere l’anatomia e i mutamenti cerebrali grazie a tecnologie di diagnostica per immagini, le neuroscienze appunto.
Pionieri di questo nuovo filone sono due neuroscienziati: Jay Giedd del National Institute of Mental Health di Bethesda e Robert McGivern, dipartimento di psicologia dell’Università di San Diego. Giedd ha studiato l’attività cerebrale di 1800 tra bambini e adolescenti, registrando ogni due anni immagini che consentono di monitorare come cresce ogni singolo cervello. Prima di questa ricerca la maggior parte degli esperti era convinta che il cervello avesse quasi completato il suo accrescimento a 12 anni, raggiungendo quella che secondo Jean Piaget era il gradino più alto della scala dello sviluppo cognitivo: quello delle “operazioni formali”. Ora sembra dimostrato che non solo il cervello di un adolescente è lontano dall’essere maturo, ma che la corteccia prefrontale è in fervente attività di crescita proprio tra gli 11 e i 18 anni. “La corteccia prefrontale è un’area importante del nostro cervello: modula le emozioni, controlla le reazioni impulsive e regge le fila della capacità di organizzazione“ dice Giedd. “Se vogliamo, è la parte che più separa l’uomo dalle bestie, quella che ha subito più cambiamenti nel corso dell’evoluzione umana, la parte del cervello che ci permette di ragionare in modo filosofico e di pensare a qual è il nostro posto nell’universo…“ E’ stata soprannominata “l’area del ripensamento assennato”. In particolare, la corteccia prefrontale tiene a bada un’altra area cerebrale, l’ippocampo, che gestisce i bisogni primari (per esempio mangiare o accoppiarsi) che non sempre vanno d’accordo con le esigenze e la morale della società. Solo quando la corteccia prefrontale matura, l’adolescente è in grado di controllare gli istinti ed esprimere giudizi.
“I
teenagers non sono certo stupidi o incapaci. Semplicemente non possiamo aspettarci le stesse capacità di giudizio di un adulto prima che il cervello sia del tutto formato”.
Ed ecco perchè l’adolescenza è il periodo in cui possono radicarsi comportamenti a rischio. Il giudizio blocca le reazioni impulsive, un’abilità che gli adolescenti difficilmente hanno. Ed è proprio in questa fase di scarso controllo e mancanza di freni che il cervello è più vulnerabile agli effetti delle droghe e superalcolici. Giedd, attraverso le immagini del cervello in evoluzione, spiega soprattutto ai giovani come su una materia grigia ancora in crescita l’effetto di alcol e droghe non duri una sera o un week-end, ma tutta la vita. Nella corteccia prefrontale di un adolescente si verifica un boom di crescita neuronale. Secondo McGivern, questo periodo di iperattività e sovraeccitazione fa sì che i ragazzi abbiano meno risorse disponibili per la “sapienza sociale” e li lascia più vulnerabili agli sbalzi d’umore e alla depressione. In una ricerca pubblicata sulla rivista Brain and Cognition, McGivern ha mostrato i risultati di un test effettuato su un gruppo di adolescenti: si trattava di associare una serie di volti con espressioni diverse all’emozione corrispondente. Il test ha dimostrato che i ragazzi non sono in grado di identificare rapidamente le emozioni altrui, come se il cervello avesse bisogno di concentrarsi su se stesso per consolidare e rinforzare le connessioni più importanti, tagliando quelle di troppo. Questo processo, sottolinea Giedd, dimostra l’importanza del tipo di connessioni che vengono stimolate. Così si giunge alla parte forse più importante di questa ricerca: use it or lose it, usalo o lo perderai. “La crescita del cervello durante la pubertà costituisce un immenso potenziale. Se un teenager suona, fa sport o studia, le connessioni relative verranno rinforzate. Se giace su un divano giocando con i videogames o guardando Mtv saranno altre le cellule e le connessioni destinate a sopravvivere”. Queste le dichiarazioni di Giedd alla trasmissione di attualità Frontline dell’americana Pbs.  Correre, giocare, saltare. Lo sport gioca quindi un ruolo importante per lo sviluppo del cervelletto, sia in termini fisici, aiutando a sviluppare la capacità di rapportarsi con il proprio corpo in trasformazione e con il movimento, sia mentali, sviluppando la capacità di interagire e collaborare in particolare negli sport di squadra.
Le neuroscienze hanno compiuto un passo molto importante che smonta la convinzione che quello che un bambino impara nei primi tre anni di vita segna in un certo senso il suo futuro. In realtà le possibilità sono molto più ampie e il prossimo obiettivo è senz’altro quello di capire in che modo si possano mettere queste conoscenze al servizio e in appoggio alle famiglie, alle istituzioni scolastiche e ai vari ambienti che in qualche modo interagiscono con gli adolescenti. Quello che non si conosce è più difficile da affrontare, questo vale in ogni campo. Analizzato scientificamente il cervello dei ragazzi, appare ancora più determinante la figura dell’adulto in quanto riferimento e possibilità di confronto. Gli adolescenti hanno bisogno di parlare per fare il punto su emozioni e decisioni che non sono in grado di governare, situazioni che per gli adulti possono sembrare inutili o prive di significato ma che per loro sono importanti. Forse sapendo che non sono solo tempeste emotive ma difficoltà oggettive dovute ad un corpo ancora in fase di crescita anche cerebrale, sarà più semplice per gli adulti trovare il modo di mettere da parte la fretta e ritrovare un po’ di tempo per fare quello che dovrebbe essere naturale ma che sembra sempre più distante dal modo di vivere attuale: fermarsi e ascoltare.

Fonti e ulteriori approfondimenti:

http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/teenbrain/

http://www.benessere.com/fitness_e_sport/arg00/sport_sviluppo_cervello.htm

Pubblicato su Naturalia – 8 novembre 2008

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